Autismo e pattini
Gli sport sono uno strumento importante di inclusione e coesione sociale. Attraverso la bellezza dello stare insieme permette di acquisire le basi del lavoro di squadra e la necessità di rispettare le regole attraverso una maggiore conoscenza di sé e dell’altro.
Per richiedere informazioni:
PATTINAGGIO PER LA DISABILITA’
Il silenzio assordante delle Amministrazioni locali
In Italia, si stima 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Rispetto alla popolazione scolastica (scuola primaria), il 4,9% del totale degli alunni è affetto da disturbi specifici dell’apprendimento, mentre gli alunni con bisogni educativi speciali rappresentano l’11% degli iscritti nella scuola secondaria di primo grado e il 6,5% nella scuola primaria. Dalle rilevazioni Istat del 2019 risultano, complessivamente, per la Regione Campania, 18.988 alunni con disabilità intellettiva, in riferimento alle scuola primaria e secondaria di primo grado. Sempre in Campania, il rapporto alunno/assistente all’autonomia raggiunge il picco massimo (calcolato su base nazionale) di 14, restituendo uno spaccato di una realtà territoriale ed istituzionale che non è in grado di affrontare adeguatamente le necessità e le esigenze di persone, soprattutto minori, che vedono dipendere il proprio futuro dalla possibilità di includersi nel contesto sociale e di acquisire soglie di autonomia tali da permettere loro una vita dignitosa e autosufficiente. Inoltre, le famiglie spesso lasciate sole ad affrontare situazioni complesse in cui cercano di attuare interventi all’interesse del minore, ma non sempre ciò è possibile, e le maggiori difficoltà vengono riscontrate nelle aree periferiche e in quelle interne e relativamente isolate, a causa dell’assenza della rete di servizi e assistenza. Rispetto a tali carenze, una risposta importante proviene dal mondo sportivo, che attraverso le sue specificità riesce ad avere un’importanza fondamentale riguardo il comportamento adattivo nelle persone con disabilità intellettivo-relazionali. La Federazione Italiana Sport Rotellistici (FISR) ha seguito numerose sperimentazioni che hanno coinvolto scuole e società sportive nell’inclusione sportiva di giovani disabili intellettivo-relazionali attraverso il pattinaggio.
La FISR, attraverso le proprie società affiliate e i propri tecnici,
PROPONE
La organizzazione di corsi di pattinaggio aperti sia a bambini normodotati che con disabilità, al fine di favorire l’inclusione sociale; propone, inoltre, l’organizzazione di competizioni non agonistiche volte a verificare i livelli di apprendimento della specialità sportiva da parte dei bambini, nonché la modifica comportamentale dei singoli bambini con disabilità, fornendo al contempo obiettivi capaci di soddisfare il bisogno di autorealizzazione.. La presente iniziativa, basata su ricerche e risultati scientifici, ha il supporto e la collaborazione della Società Italo Rumena di Pediatria, la società Italo Araba di pediatria, la società Italiana di Pediatria ospedaliera, , della Cooperativa sociale L’Abbraccio, di Salerno, di Tertia (Accademia internazionale di terza medicina), della Associazione Nazionale Genitori con figli con autismo, di Salerno, della ASD Skating Edenlandia, di Napoli, della ASD SportLab di Pontecagnano Faiano, della CH Roller di Salerno. Il primo passo per l’attuazione del progetto, è la disponibilità, da parte della Amministrazione Comunale, a garantire alla FISR l’utilizzo di una struttura, per alcune ore di alcuni giorni della settimana, a titolo gratuito, al fine di organizzare lezioni di pattinaggio per bambini con spettro autistico. Unitamente a questi bambini, per la realizzazione dell’inclusione, pattineranno anche bambini normodotati. Ai bambini con disabilità verrà offerto il corso e tutte le attrezzature, a titolo completamente gratuito, agli altri verrà richiesta una minima quota di iscrizione.. Gli interventi sono strutturati e gestiti da un Comitato Scientifico costituito all’interno della Associazione Centro Studi Salerno Europa, promotrice della iniziativa.
Ma a questa proposta, presentata ad alcuni Comuni, ha ottenuto un assoluto silenzio. Pur confermando che il tutto si svolgeva a titolo completamente gratuito per i giovani e per il Comune, e che tale iniziativa era un servizio in più per il Sociale, la risposta è stata l’assoluto silenzio, a dimostrazione che le iniziative di carattere sociale, da parte di alcune Amministrazioni comunali, sono l’ultima ruota del carro.
Autismo e pattini
Gli sport sono uno strumento importante di inclusione e coesione sociale. Attraverso la bellezza dello stare insieme permette di acquisire le basi del lavoro di squadra e la necessità di rispettare le regole attraverso una maggiore conoscenza di sé e dell’altro.
PATTINAGGIO PER LA DISABILITA’
Il silenzio assordante delle Amministrazioni locali
In Italia, si stima 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico con una prevalenza maggiore nei maschi: i maschi sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Rispetto alla popolazione scolastica (scuola primaria), il 4,9% del totale degli alunni è affetto da disturbi specifici dell’apprendimento, mentre gli alunni con bisogni educativi speciali rappresentano l’11% degli iscritti nella scuola secondaria di primo grado e il 6,5% nella scuola primaria. Dalle rilevazioni Istat del 2019 risultano, complessivamente, per la Regione Campania, 18.988 alunni con disabilità intellettiva, in riferimento alle scuola primaria e secondaria di primo grado. Sempre in Campania, il rapporto alunno/assistente all’autonomia raggiunge il picco massimo (calcolato su base nazionale) di 14, restituendo uno spaccato di una realtà territoriale ed istituzionale che non è in grado di affrontare adeguatamente le necessità e le esigenze di persone, soprattutto minori, che vedono dipendere il proprio futuro dalla possibilità di includersi nel contesto sociale e di acquisire soglie di autonomia tali da permettere loro una vita dignitosa e autosufficiente. Inoltre, le famiglie spesso lasciate sole ad affrontare situazioni complesse in cui cercano di attuare interventi all’interesse del minore, ma non sempre ciò è possibile, e le maggiori difficoltà vengono riscontrate nelle aree periferiche e in quelle interne e relativamente isolate, a causa dell’assenza della rete di servizi e assistenza. Rispetto a tali carenze, una risposta importante proviene dal mondo sportivo, che attraverso le sue specificità riesce ad avere un’importanza fondamentale riguardo il comportamento adattivo nelle persone con disabilità intellettivo-relazionali. La Federazione Italiana Sport Rotellistici (FISR) ha seguito numerose sperimentazioni che hanno coinvolto scuole e società sportive nell’inclusione sportiva di giovani disabili intellettivo-relazionali attraverso il pattinaggio.
La FISR, attraverso le proprie società affiliate e i propri tecnici,
PROPONE
La organizzazione di corsi di pattinaggio aperti sia a bambini normodotati che con disabilità, al fine di favorire l’inclusione sociale; propone, inoltre, l’organizzazione di competizioni non agonistiche volte a verificare i livelli di apprendimento della specialità sportiva da parte dei bambini, nonché la modifica comportamentale dei singoli bambini con disabilità, fornendo al contempo obiettivi capaci di soddisfare il bisogno di autorealizzazione.. La presente iniziativa, basata su ricerche e risultati scientifici, ha il supporto e la collaborazione della Società Italo Rumena di Pediatria, la società Italo Araba di pediatria, la società Italiana di Pediatria ospedaliera, , della Cooperativa sociale L’Abbraccio, di Salerno, di Tertia (Accademia internazionale di terza medicina), della Associazione Nazionale Genitori con figli con autismo, di Salerno, della ASD Skating Edenlandia, di Napoli, della ASD SportLab di Pontecagnano Faiano, della CH Roller di Salerno. Il primo passo per l’attuazione del progetto, è la disponibilità, da parte della Amministrazione Comunale, a garantire alla FISR l’utilizzo di una struttura, per alcune ore di alcuni giorni della settimana, a titolo gratuito, al fine di organizzare lezioni di pattinaggio per bambini con spettro autistico. Unitamente a questi bambini, per la realizzazione dell’inclusione, pattineranno anche bambini normodotati. Ai bambini con disabilità verrà offerto il corso e tutte le attrezzature, a titolo completamente gratuito, agli altri verrà richiesta una minima quota di iscrizione.. Gli interventi sono strutturati e gestiti da un Comitato Scientifico costituito all’interno della Associazione Centro Studi Salerno Europa, promotrice della iniziativa.
Ma a questa proposta, presentata ad alcuni Comuni, ha ottenuto un assoluto silenzio. Pur confermando che il tutto si svolgeva a titolo completamente gratuito per i giovani e per il Comune, e che tale iniziativa era un servizio in più per il Sociale, la risposta è stata l’assoluto silenzio, a dimostrazione che le iniziative di carattere sociale, da parte di alcune Amministrazioni comunali, sono l’ultima ruota del carro.
Journées
de Lourdes 2023
Da decenni si svolge, nella città di Lourdes, un convegno internazionale che coinvolge medici, farmacisti, infermieri, ecc.
Negli ultimi anni, sempre con la direzione di Sandro de Franciscis, quest’icontro ha assunto una notevole rilevanza internazionale.
L’assemblea di Sabato 11 Febbraio 2023 si è tenuta nella maestosa basilica di Santa Bernadette, sulla riva destra del fiume Gave.
È stato molto apprezzato e seguito questo incontro internazionale, con interventi e relazioni di notevole interesse. Si è discusso di organizzazione ed accoglienza dei malati, dei rapporti internazionali della associazione e dei futuri progetti.
Interessante, tra i futuri progetti, anche quello proposto al presidente Amil da Salvatore Vendemmia ed Augusto Mastrominico: “La medicina dei miracoli ed i miracoli della medicina”.
Tale argomento, già presentato da Sandro de Franciscis alla “Sapienza” di Roma, potrà stimolare ulteriori e interessanti discussioni sul numero dei miracoli avvenuti, sulla loro storia e sulla loro reale e dimostrata autenticità. Si potrà analizzare un registro dei miracoli, le opinioni dei credenti, e la posizione ufficiale della Chiesa e della scienza medica. Inoltre, potrebbe essere molto stimolante ed interessante rilevare che, oltre alla medicina dei miracoli c’è anche la scientifica realtà dei miracoli della medicina.
Tali argomenti potranno creare un rapporto più intenso e collaborativo tra il mondo reale e quello trascendentale.
Ci auguriamo pertanto che, all’appuntamento del giorno 11/02/2024, ci sarà una partecipazione ancora più numerosa di medici interessati a presentare e discutere tali argomenti.
Prof. Salvatore Vendemmia
Chief Department of Pediatrics
Founder,
President and Emeritus President of SIPO and GNNNP
President Italian Arabic Pediatric Society (IAPS)
President Italian Romanian Pediatric Society
Italian Delegate UMEMPS
Manager JPNIM
Relationschips with the Scientific Societies
significato mutevole di autismo
Sulla rivista Science si è parlato di un tema molto attuale: le parole da usare quando si parla di autismo.
Questa disputa è presente da quando, a partire dalla pubblicazione del DSM5 nel 2013, si parla non più di autismo, di fenotipo allargato o di Asperger, ma di disordini dello spettro autistico che conterrebbero tutte queste situazioni, dando poi a tutti l’etichetta abbreviata di autismo.
Come risultato accanto a persone con disabilità intellettiva, incapaci di comunicare e con comportamenti dirompenti, vengono chiamate autistiche persone brillanti, autori di libri di successo, trascinatori di folle e quant’altro. Questi “nuovi” autistici vogliono rivoluzionare il modo con cui sino ad ora si è parlato di autismo e pensano di potere rappresentare meglio degli altri le persone appartenenti alla categoria che nel DSM5 viene definita di livello 3.
Secondo questi “nuovi autistici” i termini “disordine” o “disabilità” dovrebbero essere sostituiti da “differenza”. Il termine “sintomi associati” dovrebbe essere sostituito con “tratti”. Alla dizione “co-morbilità” bisogna sostituire “co-occorrenza”.
La terapia maggiormente usata nel mondo (ABA) è vista come un pericoloso strumento di normalizzazione, che farebbe perdere l’individualità della persona e le sue potenzialità geniali.
Le difficoltà non sono dovute all’autismo, ma alla società che non è fatta in modo da supportarli.
In una recente rassegna su 195 ricercatori, molti dei quali si dichiarano autistici, il 60% delle risposte riteneva che le modalità con cui le persone con autismo venivano descritte fossero disumanizzanti, oggettivanti o stigmatizzanti.
Opponendosi a queste proposte, altri ricercatori, come Alison Singer, presidente di Autism Science Foundation replica, “Se non puoi più usare parole come “comportamenti dirompenti (challenging behaviors’) o “disturbo severo” o “sintomi” o “disturbo in comorbidità”, perché dovremmo studiare queste condizioni? La Singer teme che i termini neutri suggeriti da questi ricercatori banalizzino e non descrivano in modo appropriato la dolorosa realtà di persone autistiche, come sua figlia, che hanno gravi deficit nella comunicazione, disabilità intellettiva o altri gravi problemi di salute.
Altre voci autorevoli, come quella di Tager-Flusberg, denunciano il fatto che la fonte del conflitto sta nell’uso di un singolo set di termini per una condizione estremamente eterogenea.
Dello stesso parere è Monique Botha che asserisce “La specificità è più rigorosa e accurata della generalizzazione”
Credo che sia utile che una rivista prestigiosa come Science si occupi di questo problema, che è stato acutizzato dalla definizione di spettro autistico usato dal DSM5 che, mettendo tante diverse condizioni sotto un’unica dizione, ha creato molta confusione e rischia di far sì che ci si occupi solo del livello 1, che può dare tante soddisfazioni, e che si dimentichi il livello 3 nel quale “È NECESSARIO UN SUPPORTO MOLTO SIGNIFICATIVO”.
Bisogna fare attenzione al principio in base al quale lavoro facile scaccia lavoro difficile. Ma non si deve neppure trascurare che occorre concentrare l'attenzione anche sui bambini a livello 1, perché si deve ridurre il rischio di perdere le loro possibilità di inserimento sociale e lavorativo e di aumentare il rischio, già elevato, di acquisire sintomi che configurano patologie psichiatriche. Carlo Hanau.
Medicina narrativa:
tra storie, trame, punti di svolta e significati
La medicina narrativa è, attualmente, un capitolo interessante per tutte le specialità mediche, ed in pediatria e neonatologia ci sembra particolarmente importante utilizzarla per meglio "empatizzare" i rapporti e le cure tra lo specialista, il paziente e la famiglia. In verità è insita, nella struttura mentale e comportamentale di ogni medico, una tale metodologia induttiva e deduttiva, favorita probabilmente dai "neuroni a specchio" che sembrano attivarsi quando viene iniziata una azione, ma hanno anche un ruolo nelle interazioni sociali, aiutandoci a capire scopi ed emozioni di un'altra persona.
Fondatrice della "narrative medicine" in veste istituzionale e scientifica può considerarsi Rita Charon che, per prima, ha attivato un corso di formazione pressso la Columbia University di New York. Gli studenti in medicina possono così apprendere le necessarie competenze per ascoltare, interpretare e rispondere ai pazienti ed alle famiglie non prevalentemente con i farmaci ma anche con valide, utili e preziose informazioni e consigli.
Anche l'Italia si è adeguata a riconoscere ed utilizzare tale vecchia ma non riconosciuta pratica quotidiana, dandole un adeguato riconoscimento scientifico e fondando una una Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN) il cui primo Forum si è tenuto, on line, il 28 settembre 2022.
L'articolo che segue, in press su una importante rivista nazionale, può essere utile ed interessante per tale argomento.
MEDICINA NARRATIVA: TRA STORIE, TRAME, PUNTI DI SVOLTA E SIGNIFICATI
GOFFREDO PARISI* – SALVATORE VENDEMMIA** – MARIA VENDEMMIA***
*Primario Emerito di Pediatria Ospedale di Vasto
**Primario Emerito di Pediatria Ospedale di Aversa
***Terapia Intensiva Neonatale Università di Napoli Federico II.
This work can be a valid stimulus and a useful guide to the pediatricians, a tool to bound with the patient and the family, providing adequate and reassuring responses, together with therapy. It is essential that the attending physician is able to recognize, understand and interpret the stories of patients to establish an intense, empathetic understanding with them. Storytelling can help solving a human problem, it can be considered a peculiar code, a "universal, transversal and transcultural" Human Metacode, that allows us to describe anything rather than only the problem that the man has lived and lives. A good disease narrative does not correlate strictly with scientific accuracy, but it certainly serves to convey something of the human condition through a call to emotions. The shift from a biomedical model to a psychosocial one can be difficult, because it requires a demanding decision-making, introspective and volitional moment that corresponds to a radical change of course. It is, however, fundamental to allow the health care to build a model and a new narrative and communicative path: a procedure aimed to achieve a full patient-family integration and medical-system. These behaviours of health care providers are radically contributing to create a "cultural and professional transition" in doctor-patient relationships, increasingly oriented towards a true "personalized medicine".
DEFINIZIONE –“Nel parlare comune, narrare vuol dire raccontare, esporre un fatto o una serie di fatti, reali o fantastici, seguendo un determinato ordine nella rievocazione e la ricerca delle cause” (1). Secondo Hayden White, 1981 (2):…”lungi dal rappresentare un problema, la narrazione puo’ essere la soluzione di un problema di interesse umano generale, cioe’ di come tradurre il sapere in dire, ovvero di trasformare l’esperienza umana in modelli di significato che siano generalmente umani piu’ che specificamente culturali”. La narrazione cioè, lungi dall’essere un codice tra gli altri che la cultura utilizza per conferire significati all’esperienza, è un codice particolare, un “metacodice umano universale, trasversale e transculturale”, che permette di descrivere non il fatto ma l’esperienza del fatto che ne fa l’uomo, all’interno di messaggi riguardanti la natura di una realtà condivisa. Se l’atteggiamento mentale del medico è basato sulla narrazione, il colloquio si apre alla medicina narrativa.
RADICI DELLA NARRAZIONE IN MEDICINA
Storia clinica “classica”, narrazione del paziente della sua esperienza di malattia ma che il medico “governa, rendendola piatta e priva di metafore” (K.M.Hunter)(3), al fine di porre ipotesi diagnostiche ampie e variate. Storia della medicina dalla parte dell’Io biomedico (“quello che il medico pensa”, storia o voce della medicina, secondo G.E.Mishler (4), che poggia sull’anamnesi tradizionale e si muove all’interno di una cornice rigorosamente clinica.
Storia Narrativa, resa tale dall’avere il medico acquisito competenze narrative ed il paziente incoraggiato a ravvivare la storia clinica classica con emozioni, sentimento e libertà di esprimersi. Narrazione dalla parte del malato, Storia della vita: “quello che il malato vive”, voce della vita (4) e, al meglio, storia “della relazione terapeutica”. In sostanza, narrazione del malato + narrazione che medico e paziente costruiscono insieme e co-narrano. Perché tale cooperazione possa efficacemente realizzarsi sono necessari tre tipi di competenze:
NARRATIVE, COMUNICATIVE e NORMATIVE (5).
COMPETENZA NORMATIVA: tale competenza è dipendente e derivante dalla capacità di svolgere determinati compiti, di rispettare un ordine morale nel farlo e comprendere ed accettare (o no) le regole in base alle quali gli altri ci giudicano e ci spingono ad agire in conformità ad esse. Cioè e in sostanza, la competenza normativa è interpersonale e non una abilità situata nell’individuo (6).
COS’E’ VERAMENTE MEDICINA NARRATIVA? TRE PARERI IMPORTANTI
La medicina narrativa è un atteggiamento mentale attivo da parte del medico (in parte naturale e spontaneo, in parte costruito, esercitato ed allenato costantemente), che richiede le abilità necessarie per ascoltare le narrazioni della malattia, per capirne il significato, per interpretare queste storie in modo ampio ed accurato, per cogliere il contesto dei pazienti in tutta la loro complessità. Sono queste le abilità narrative, in quanto rendono una persona capace di recepire e di capire le storie che un altro racconta. Solo quando il medico comprende in qualche modo ciò che sta passando il suo o la sua paziente, l’intervento medico può procedere con umiltà, fiducia e rispetto. Col termine di medicina narrativa intendo la medicina praticata mediante queste abilità narrative che permettono di assorbire, interpretare ed essere commossi dalle storie della malattia (7).
Le storie servono a riparare il danno che la malattia ha provocato nella persona malata; la malattia infatti pregiudica il senso che essa ha della propria collocazione nella vita e della direzione verso cui sta andando. Le storie sono un modo di ridisegnare le mappe e di trovare nuove destinazioni. I pazienti devono imparare a “pensare in modo diverso” e le narrazioni, orali o scritte, li possono aiutare a mettere ordine nel caos (8).
Alla domanda rivolta alla Charon da Jerome Bruner (2002) su cosa fosse la medicina narrativa, ella risponde: “La tua responsabilità è ascoltare quel che ha da dire il paziente, e dopo pensare al da farsi in proposito. Dopo tutto, di chi è la vita, tua o sua? “ Commenta Bruner:” Il programma di medicina narrativa ha già cominciato a ridurre le morti dovute a incompetenze narrative nel Collegio dei Medici e Chirurghi”.
IN DEFINITIVA…..Medicina Narrativa: non disciplina né manuale di tecniche da applicare in tutti i casi ma mappa di primo livello, alla scoperta di un territorio vasto, inesplorato, cangiante: il mondo dell’altro,del paziente, alla scoperta riscoperta e rivalutazione di un universo di simboli e significati che definisce l’identità e la cultura del malato e dei suoi sistemi di riferimento. Esplorare il mondo dell’altro spetta al medico e ciò coincide con l’autorità dello stesso, riconosciuta per scelta e mandato individuale e di ruolo ma ormai non più sufficiente ad indirizzare quel particolare rapporto sia sul piano contrattuale che etico nello spazio obbligato della parità, reciprocità, negoziazione, cooperazione. Tale compito spetta alla RELAZIONE TERAPEUTICA, una vicenda dialogica, comunicativa, di elevata qualità che poggia-come si è detto – sul possesso di competenze comunicative (counselling skill) e narrative (storyteller skill). La relazione tra esseri umani consiste - oltre che nelle buone intenzioni, lealtà ed onestà condivise – in uno scambio di narrazioni ed è perciò fondamentale che il medico impari a “leggere” le narrazioni dell’altro e a scoprire il mondo di significati, di “punti di svolta” (healings dramas), di simboli, di miti, di convinzioni che fanno del paziente una entità unica ed irripetibile, con cui provare a scrivere una storia comune nel comune interesse. La relazione, come tutte le cose umane, non è però fissa e stabile ma variabile ed oscillante, e questo porta a dover definire con precisione la c.d. “giusta distanza” rispetto alla relazione stessa e rispetto all’obiettivo: lo strumento che regola la giusta distanza è l’empatia, che Rizzolatti e Sinigaglia (2006) hanno individuato, da un punto di vista anatomo-funzionale, nei c.d. “neuroni a specchio”, presenti nella specie umana e nei primati superiori (9,10).
PRINCIPALI CAUSE DELLA NASCITA E DELLO SVILUPPO DELLA “NARRATIVE BASED MEDICINE”, N.B.M. (MIKE BURY, SOCIOLOGO, 2001) (11)
Primo fattore di natura epidemiologica e demografica;
Secondo fattore: messa in discussione della centralità dell’ospedale, con spostamento di attenzione sul territorio e sui trattamenti domiciliari;
Terzo fattore: messa in discussione dell’efficacia ed autorità della biomedicina;
Quarto fattore: espansione dell’informazione su malattie e medicina;
Quinto fattore: empowerment del paziente per effetto dell’ ingresso in campo di una terzietà variegata, fondamentalmente schierata a sua difesa.
PERCHE’ STUDIARE LA NARRAZIONE
Nel colloquio diagnostico, le narrazioni:
costituiscono la forma entro cui i pazienti sperimentano e descrivono il proprio malessere;
incoraggiano l’empatia e favoriscono la comprensione tra medico e paziente;
permettono la costruzione di significati;
forniscono utili indizi e classificazioni.
Nel processo terapeutico, le narrazioni:
incoraggiano un approccio globale al trattamento;
sono in se stesse terapeutiche o palliative;
possono suggerire ulteriori opzioni terapeutiche.
Nell’educazione del paziente e dei professionisti, le narrazioni:
vengono ricordate molto più facilmente;
sono radicate nell’esperienza;
potenziano la riflessione.
Nella ricerca, le narrazioni:
costruiscono interventi centrati sul paziente;
sfidano le idee ricevute;
generano nuove ipotesi.
LE TRAME PRINCIPALI DI ARTHUR FRANK DELLA NARRAZIONE IN MEDICINA, 1995 (8)
Narrazioni del “come prima” o di recupero (restitution narratives). E’ la restitutio ad integrum, la storia con lieto fine dopo il viaggio, quella che C.Booker definisce “viaggio e ritorno”. Solo che, dal viaggio nella malattia il ritorno non è assicurato: il narratore ferito (wounded storyteller) può restare tale, a meno che una nuova narrazione, una “controstoria” nei confronti della trama principale immaginaria, non ripristini una “nuova” normalita.
Narrazione caotica. La storia è caotica nell’assenza di ordine narrativo, gli eventi sono “vissuti” più che detti o raccontati. Il narratore caotico non sperimenta gli eventi della vita reale in modo tale da riuscire a creare un ordine ed una sequenzialità capaci di consentirgli di entrare in una relazione di cura: il caos, dice Frank, è un “buco nel discorso”, una forma particolare di mutismo fatto di parole sempre più confuse ed incomprensibili, una antinarrazione in realtà che provoca negli altri uno spontaneo rigetto delle storie caotiche, che vengono spesso considerate come sintomo di depressione.
Narrazione di ricerca (quest narrative). La storia di ricerca è una storia di apprendimento: attraverso la ricerca e l’apprendimento, infatti, il narratore ferito diventa “un testimone” che ha vissuto e condivide con gli altri malati la sofferenza di cui è stato vittima, il “punto di svolta” della storia. L’esperienza acquisita diventa, come per Dante o Ulisse al termine del loro viaggio, l’inizio di una nuova storia, che non somiglierà a niente di già conosciuto.
UTILITA’ PRATICHE DELLA NARRAZIONE (T. GREENALGH, 2006) (12)
Una buona narrazione di malattia non ha a che fare con l’accuratezza scientifica ma serve a trasmettere qualcosa della condizione umana tramite un richiamo alle emozioni. Una buona narrazione di malattia ha aspetti letterari: è attraente sul piano estetico, coerente, credibile, riferibile, persuasiva e dotata di ordine morale. Ma essa ha anche una non trascurabile utilità pratica, che la rende preziosa nella relazione terapeutica:
aiuta i pazienti a spiegarsi e a capire quel che sta ad essi capitando;
aiuta il medico a confrontare ciò che capita al paziente con le narrazioni scientifiche della malattia e con i protocolli terapeutici;
aiuta a mettere in luce gli aspetti ignoti, le tensioni reali e le ambiguità morali con cui il paziente si deve confrontare;
genera nuovi significati: la storia (ogni storia) contribuisce a foggiare il sé nei confronti della malattia stessa.
CARATTERISTICHE FONDAMENTALI DI UN INTERVENTO DI CURA BASATO SULLA RELAZIONE (BEACH, M.C. 2006)
La relazione in medicina deve includere oltre ai ruoli anche le persone.
Le emozioni costituiscono un elemento importante delle relazioni di cura.
Tutte le relazioni terapeutiche richiedono un contesto di reciprocità.
La RCC (Relationship Centered Care) ha un fondamento etico (ValuesBasedMedicine, medicina basata sui valori, oltre che sui fatti(13).
INTERVENTO DI CURA CENTRATO SUL PAZIENTE: PRINCIPALI VANTAGGI (BALINT,1961 e 1975; LITTLE, 2001)
Esplorare l ‘esperienza della malattia.
Comprendere la persona nella sua totalità( incluse le emozioni) e il suo contesto.
Trovare un terreno comune tra medico e paziente ( partnership).
Promuovere la salute.
Potenziare la relazione tra medico e paziente (e i suoi familiari).
DIFFERENZE PRINCIPALI TRA MEDICO E PAZIENTE, TRA MALATO E SANO (R. CHARON, 2006)
Relazione con la mortalità
Contesto della malattia
Convinzioni inerenti alla causalità
Le emozioni
Tab.1. Engel’s critique of biomedicine (14)
Un’alterazione biochimica non si traduce direttamente in una malattia. L’espressione della malattia deriva dall’interazione di diversi fattori causali, compresi quelli a livello molecolare, individuale e sociale. Le alterazioni psicologiche possono manifestarsi come malattie che costituiscono problemi di salute, inclusi i correlati biochimici.
La presenza di uno squilibrio biologico non evidenzia i sintomi del paziente, né interferisce con le abilità che il clinico deve avere per raccogliere informazioni ed elaborarle bene.
Le variabili psico-sociali sono determinanti più importanti della suscettibilità, della gravità e del decorso della malattia rispetto a quelle che erano state precedentemente apprezzate da coloro che mantengono una visione bio-medica della malattia.
L’essere malato non è necessariamente associato alla presenza di uno squilibrio biologico.
Il successo dei trattamenti è influenzato da fattori psico-sociali (ad esempio l’effetto placebo).
Il rapporto paziente-medico influenza i risultati, anche solo per la sua influenza sull’aderenza alla terapia.
“The biopsychosocial Model 25 years later” (15)
….Dopo 25 anni, F. Borrel-Cariò et al. rileggono e rianalizzano la “sodalità gentile” del nuovo modello di medicina preconizzato da G.Engel, riaffermandone l’intatto valore e attualità che “…non consiste nella scoperta di nuove leggi scientifiche, come l’espressione “nuovo paradigma” potrebbe suggerire, ma piuttosto nel governare una equilibrata (“parsimonious”) applicazione delle conoscenze mediche alle necessità di ogni singolo paziente”.
…
Tab.2. Glossario Scuola di Harvard (Kleinman, Good,Callahan)
DISEASE (patologia): si riferisce alla anormalità nella struttura o funzione di organi o dei sistemi di organi.
ILLNESS (esperienza di malattia): si riferisce al significato che l’esperienza di sofferenza assume per chi la vive in prima persona. E’ il processo attraverso il quale la patologia entra nella coscienza individuale.
SICKNESS (relazioni sociali di malattia): processo di produzione sociale della patologia, ovvero la pratica che investe i segni comportamentali e biologici preoccupanti di significati socialmente riconoscibili. Possiamo altrimenti identificarla come il procedimento sociale di traduzione dei segni in sintomi.
TAB.3. CONCETTO DI “NARRAZIONE IN MEDICINA” (16)
“Metacodice umano universale, trasversale e transculturale, capace di dare un significato agli eventi”. Esso si avvale, come indicatore del viraggio già annunciato da A.Kleinmann, B. Good e D. Callahan, del fondamentale strumento delle “medical humanities”, termine – contenitore che comprende Etica e Bioetica, Medicina Legale, Medicina Narrativa, cultura della Comunicazione, Filosofia, Storia, Poesia, Recitazione, Musica e, in generale, le Arti, Sociologia, concetti di Pedagogia ma anche Pet therapy, immaginazione, psicodramma, intensificarsi dei rapporti interpersonali, risata, umorismo, clown-terapia, musico-terapia, cinema –terapia. In sostanza, il mondo interiore e le dinamiche relazionali del paziente atte ad annunciare il declino dello storico rapporto duale medico –paziente, fine della dominanza medica, crisi del modello neo-positivistico della scienza e della scienza medica, ingresso di una variegata terzietà della società civile che introduce principi di giustizia a temperare quelli di Beneficità e di Autonomia, con cui non di rado confligge. Questa “rivoluzione gentile”, come è stata definita, ridisegna i limiti e confini ed il significato di “relazione di cura”, che modernamente abbraccia e definisce livelli diversi concettuali ed applicativi, che vanno dall’”interessarsi a, al prendersi cura di, al prestar cura, al ricevere cura”(Carta di Ottawa, 1986) (17).
TAB.4. CONCETTO DI MEDICINA E RELAZIONE DI CURA (GADAMER, 1994)
….Un medico che non sappia interagire con il paziente diminuisce e distorce il suo patrimonio culturale che, per quanto bene appreso sui libri( dove si definiscono le malattie), va messo a frutto nella pratica ( dove esistono i malati e le persone nella loro individualità e diversità). Le capacità relazionali e comunicative della coppia medico-paziente costituiscono una premessa ineludibile all’esercizio dell’atto medico nell’interezza della dimensione professionale ed etica, e non semplice appendice di esso. Ciò implica la necessità di un passaggio da un paradigma puramente bio-medico a uno bio-psico-sociale in cui, accanto a una malattia in senso biologico, trovino spazio l’essere umano malato e il suo ambiente” (18, 19).
IL PARADIGMA ASSISTENZIALE PEDIATRICO: UN MODELLO FONDATO SULLA RELAZIONE (COPENAGHEN, 2012)
Tale nuova relazione di cura attualmente è incentrata attorno ad un nucleo di “Specificità delle cure pediatriche”, da un lato e di un modello “patient and family-centered care”, dall’altro. Elementi fondanti di tale moderna visione integrata culturale, epistemologica ed operativa sono indicati dallo stesso “Institute for patient and family-centered care” (20), ascolto o arte di ascoltare (ascolto attivo, gestione creativa dei conflitti, autoconsapevolezza emozionale:
triangolo magico dell’arte di ascoltare) e il rispetto di ogni bambino e famiglia;
flessibilità delle procedure e pratiche assistenziali, commisurate ai bisogni, convenienze e valori di ciascun bambino e della sua famiglia;
offerta condivisa di informazioni complete, oneste e flessibili corrispondenti alle varie fasi del processo decisionale clinico;
collaborazione col paziente e la sua famiglia nell’erogazione delle cure, nella progettazione dei luoghi di lavoro e nell’allestimento degli ambienti di accoglienza e cura;
riconoscimento dei punti di forza e delle risorse di ciascun bambino e della sua famiglia per un coinvolgimento il più ampio possibile nelle scelte relative alla sua salute fisica, psichica e relazionale, ma anche alla realizzazione delle aspettative di vita e di futuro.
CONCLUSIONI
La "Carta di Ottawa" (17), chiaramente esplicitava il bisogno segnalato dall’OMS, Alma Ata,1978 (21) di un nuovo concetto di salute, epocale cambio di paradigma, che esalta “il diritto di un individuo o di un gruppo di essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di vedere riconosciute ed attualizzate le proprie potenzialità, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte. Lo “shift” dal modello bio-medico a quello bio-psico sociale, sia in Medicina che in Pediatria, può essere una impresa ardua, sia perché richiede un momento introiettivo, volizionale, decisionale che corrisponde ad un “cambio di rotta” radicale sul piano prima epistemologico-identitario (“attitude” e “behaviour”) poi di “training” di tecniche e comportamenti (skill) appresi e coltivati, sia perché mobilita virtù antiche e disposizioni nuove, con grado diverso di attivabilità anche a livello individuale ed ambientale.
L’atteggiamento mentale del medico, l’affinamento percettivo-cognitivo, le capacità relazionali, l’attitudine dialogica, l’abilità di counselling, oltre che su una buona dose di pazienza ed umiltà, indispensabili per ogni azione multidisciplinare e/o di “team”, poggiano sulla capacità del professionista sanitario di costruirsi su un modello/percorso narrativo e comunicativo nuovo, finalizzato a realizzare la più piena integrazione paziente-famiglia- medico-sistema. La medicina narrativa (e, più in generale, l’adozione delle “medical humanities”) possono fungere da proficuo necessario viatico all’uopo, assieme ai principi –guida della citata “patient and family-centered care” (20).
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